QUANDO IL SILENZIO DIVENTA PAROLA

«La voce dal Papa ha dato coraggio a molti uomini e a interi popoli, è risuonata anche dura e tagliente…, ma quando tacerà sarà un istante di tremendo silenzio»: a scrivere così fu qualche anno addietro Jan Ross, commentatore del settimanale tedesco, di tendenze normalmente laiche, Die Zeit. A citarlo, il 16 febbraio 2000 a Madrid nel corso di una conferenza pubblica dedicata all’enciclica Fides et ratio, fu l’allora cardinale Joseph Ratzinger.

Parole del tutto laiche che riassumono pensieri, commenti e diventano monito dopo la cancellazione della visita del Papa all’Università La Sapienza di Roma. Non basterà, tuttavia, quanto accaduto per zittire anche quel silenzio. La decisione di Benedetto XVI di «soprassedere» misura piuttosto gli interlocutori alla Sapienza, ma anche nel Paese.

Si potrà forse dire tra qualche tempo chi ha “vinto”. Sappiamo già chi ha perso. Il Papa andrà tra qualche mese all’Onu e pronuncerà parole che potranno apparire scomode a non pochi interlocutori. Ci saranno le critiche, ma dopo che avrà parlato nessuno gli impedirà di prendere la parola. I professori laicisti e gli studenti contestatori resteranno soli con loro stessi, con le loro certezze ottocentesche, con un mondo provinciale e autoreferenziale che non esiste più.

Domani, se non ci saranno fatti nuovi, molti altri docenti e studenti ascolteranno o leggeranno il testo che Benedetto XVI ha preparato. Lo leggeranno anche fuori da quella università. Il Papa non interrompe la comunicazione, il suo silenzio diventa parola. Dobbiamo fare i conti con questo silenzio.

Impedire al Papa di parlare perché ha pensieri diversi, perché secoli fa c’era l’inquisizione, perché l’università è laica, perché l’inaugurazione dell’anno accademico è un atto da non contaminare, è contro la libertà e contro la cultura. Neppure l’affermare che è possibile criticare il Papa può avere come conseguenza l’impedirgli di parlare. È un pessimo precedente, è un segnale di violenza ideologica, come ha sottolineato la Cei, di intolleranza antidemocratica e chiusura culturale.

Non si può prendere alla leggera la vicenda della Sapienza, liquidarla come un fatto di cronaca. Occorre rispondere con la forza della ragione e con una certezza: la libertà non può vivere di ignoranza e di arroganza. Confondere laicità e laicismo, come ha fatto e continua a fare la sparuta minoranza dei contestatori, anche con il brindisi alla notizia dell’annullamento della visita del Papa, è la prova di un vuoto culturale inquietante. Ha ragione chi afferma che la questione della laicità è troppo seria per lasciarla in mano ai laicisti.

C’è poi, altrettanto preoccupante, il segnale dell’assenza di futuro e di speranza. Nel comunicato del collettivo degli studenti della Sapienza – poche decine di giovani – si inneggia alla vittoria e si annunciano le iniziative anticlericali di giovedì: è l’elogio del nulla. Hanno identificato un “nemico”, un “invasore” contro cui muovere. Verrà il giorno in cui si renderanno conto che davvero non è così? Questa la domanda, questo il pensiero, questo l’auspicio che prendono il posto dell’amarezza, della delusione, della inquietudine.

Nel silenzio di Benedetto XVI, che è parola, c’è già un segnale.