Quello che abbiamo di più caro è Cristo

In lui abita corporalmente la pienezza della divinità

Sante Quarantore – 25-28 gennaio 2018

C’è una parabola di Gesù che illustra bene che cosa vuol dire che niente c’è di più caro che Cristo.
«Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato”. Un altro disse: “Ho preso moglie e perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi”.» (Lc 14,16-21).

Bisogna notare che in questa parabola la questione non è tanto la chiamata a seguire il Signore lasciando il proprio campo, il proprio lavoro, la propria famiglia per ricevere il centuplo e la vita eterna: qui, queste persone sono chiamate solamente ad andare dal signore per una cena festosa.

Perché queste persone rifiutano l’invito? Le loro scuse non tengono; nessuna è urgente, nessuna è veramente un’alternativa al pasto offerto da questo signore.
La vera ragione del rifiuto è la poca importanza che questi invitati danno all’invito, e dunque a colui che li invita.

Rifiutando di accettare l’invito, e dunque rifiutando l’amicizia del signore che li invitava, che cosa è accaduto a queste persone? Apparentemente niente, ma quell’amicizia avrebbe dato un gusto diverso, un’intensità diversa a tutta la loro vita. Tutta la loro vita, anche nei suoi aspetti più rustici, più duri, come arare il campo coi buoi, sarebbe stata come abbracciata nella coscienza di un amore, di una predilezione, di una preferenza che avrebbe cambiato tutto nel loro cuore, nella coscienza del loro cuore. Sarebbe stata l’esperienza descritta da Romano Guardini nella frase: «Quando si fa l’esperienza di un grande amore, tutto diventa un avvenimento nel suo ambito».

Amare il Signore ci è necessario, ci libera, ci salva, ma sappiamo anche che amare il Signore in verità e più di ogni cosa ci è impossibile. Non arriviamo mai ad affermare con la nostra vita che Cristo ci è più caro di tutto. Allora bisogna chiedere, chiedere che Egli si manifesti e che possiamo riconoscerlo più caro di tutto.
La verità nella coscienza della nostra vita e del nostro cuore è la domanda che Cristo ci diventi più caro di tutto, perché altrimenti la nostra vita è piena di maledizione, di condanna, di non senso. Domandare la sua presenza vuol dire avere la fede che, se Egli si manifesta, potremo apprezzare la sua bontà, assaggiare quanto Egli è buono verso noi, ma anche quanto è bene per noi che Egli sia qui, quanto la sua presenza risponda alle esigenze profonde del cuore e della vita. E questo «gusto» di Cristo che dà sapore alla vita, ce lo renderà ancora più caro, sempre più caro.
San Paolo continua scrivendo: «La grazia del Signore Gesù sia con voi!». La grazia di Cristo è proprio il gusto in noi della sua bontà. La grazia è il gusto del suo amore che dà il giusto sapore a tutte le relazioni, a tutte le circostanze della vita. E questo gusto, desiderato e sperimentato, diventa profumo di colui che ama Cristo, diventa amore universale, carità. Difatti, san Paolo conclude con una frase che esprime tutta l’umanità nuova che ha creato in lui la preferenza di Cristo nella domanda costante della sua presenza e nell’accoglienza della sua grazia: “Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!”
Chi non ha nulla di più caro di Cristo, si riempie della Sua carità che gli dà di amare tutti con pienezza. Il cuore dell’uomo che accoglie come un povero l’invito al banchetto dell’amicizia di Cristo, diventa egli stesso un vivente e universale invito a preferire Cristo e il suo amore.

(P. Mauro Lepori, Abate Generale dell’Ordine Costercense)