Ciò che non va tra parentesi

Il peso della crisi economica è tale che la campagna elettorale si giocherà inevitabilmente soprattutto sulle risposte politiche e di governo a essa. Ma ci sono altre questioni, dalle importantissime ricadute civili e sociali, che non possono essere messe tra parentesi, e i lettori di Avvenire lo sanno molto bene per averne letto spesso su queste pagine anche negli ultimi tempi.

Si tratta dei temi che da qualche tempo si usa qualificare come “etici” (la famiglia, la libertà religiosa, i diritti umani, le questioni bioetiche). Mi aspetto quindi, e come cittadino elettore anch’io non vorrei restare deluso, che su questi temi non solo i partiti, ma anche i singoli candidati – in particolare quelli “cattolici” – si pronuncino espressamente: si tratta infatti di questioni che hanno una valenza non privata e intimistica, ma pubblica e soprattutto “politica”. Le ragioni sono evidenti.

Partiamo dalla famiglia: essa è, e rimane nonostante tutto, il luogo privilegiato della ‘felicità’ (come è dimostrato dal fatto che è oggetto di mille tentativi di ‘imitazione’!) e costituisce altresì la risorsa sociale più naturale e più potente che ci sia per far fronte a esigenze che nemmeno lo Stato più ricco del mondo riuscirà mai a fronteggiare adeguatamente: l’educazione primaria, l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, l’appoggio ai malati e, in generale, ai soggetti “deboli”, l’assistenza degli anziani. Un’intelligente politica per la famiglia non significa solo la tutela di un bene umano primario, ma consente allo Stato di meglio utilizzare le scarse risorse destinate al welfare e, nel medio e nel lungo periodo, contribuire al rallentamento di un problema drammatico come quello del decremento demografico.

Proseguiamo, nella nostra rapida analisi, con il tema dei diritti umani e della libertà religiosa. Un autentico impegno per la promozione dei diritti fondamentali (che non deve mai rallentare) implica che non si inquini il tema dei diritti umani con quello dei “desideri”. Ad esempio, far rientrare nella battaglia per i diritti la pretesa di concedere il matrimonio e l’adozione alle coppie gay non ha nulla a che vedere con la giusta lotta contro le discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali. È piuttosto una pretesa che incrina la corretta immagine dei diritti dell’uomo, deformandola in una visione individualistica e in definitiva anti-personalistica.

Di qui il sempre più frequente senso di fastidio che emerge in molti quando si fa appello ai diritti umani fondamentali, come se essi si riducessero a un cavallo di Troia per far implodere dall’interno la realtà relazionale coniugale e familiare. È un rischio che non possiamo correre e che dobbiamo intercettare prima che sia troppo tardi. Ed è indispensabile da parte dei politici una parola chiara al riguardo. Parole altrettanto chiare vanno riservate alla libertà religiosa. Da parte di alcuni, purtroppo non pochi, viene spesso ridotta – nel nome di un malinteso laicismo – alla libertà di confessare privatamente la propria fede.

Per quanto sia difficile farlo capire ai laicisti più estremisti, va ribadito che la fede o è pubblica o non è, e che il rilievo pubblico di una data fede religiosa non interferisce in alcun modo col rilievo pubblico che va riconosciuto a qualsiasi altra confessione, ma serve a garantire al cittadino credente la propria identità. Quanto ai temi bioetici il discorso può essere persino rapidissimo. Il buon uso (cioè l’uso eticamente corretto) della biomedicina e dei suoi progressi non solo ha impressionanti ricadute sulla dignità della persona (e già questa considerazione sarebbe sufficiente a chiudere il discorso), ma contribuisce delimitare saggiamente i limiti del potere della scienza e degli scienziati e a fronteggiare il fascino di pericolose forme di “tecnocrazia”. Che il mondo non possa essere governato esclusivamente dagli scienziati è consapevolezza diffusa; per tramutare però questa consapevolezza in decisioni socialmente vincolanti non sono sufficienti gli allarmismi della fantascienza o della cinematografia catastrofale, ma è indispensabile un forte impegno politico.

Bisogna quindi che nella campagna elettorale entri in modo esplicito e non equivoco anche la “biopolitica”. E ogni candidato faccia capire come la pensa e che cosa si prepara a fare (o non fare) e a sostenere.

(Francesco D’Agostino; editoriale di Avvenire dell’11 gennaio 2013)