E se preferissimo vivere? A proposito dell’elogio dell’eutanasia

Da tre settimane, come è tradizione nel rito ambrosiano, abbiamo iniziato le Benedizioni delle case nelle nostre parrocchie. Ogni volta che suono il campanello è una novità, ogni sguardo che incrocio è uno stupore, anche se sono stanco, anche se magari sono in giro dalle tre del pomeriggio fino all’ora di cena… capisco che quel gesto è anzitutto per me! Entrare nelle case della gente è come entrare, anche se in punta di piedi, nella loro vita, ascoltare le loro gioie e le loro fatiche, portando la presenza di Cristo, che si fa viva nel gesto della Benedizione. Sono quelle occasioni in cui sperimento cosa vuol dire essere «padre» anche se ho solo vent’otto anni e non sono sposato.
Non ho visto in diretta la puntata tanto discussa di “Vieni via con me”, l’ho riguardata in parte su internet, e subito mi sono venute in mente almeno due case nelle quali sono entrato questa settimana.
Nella prima un uomo, circa settant’anni, con la moglie malata da quattordici e da quattro completamente paralizzata e non consapevole della realtà. Mi dice: «Padre, io non esco mai di casa, i figli vanno a fare la spesa, io devo stare con mia moglie. Ha bisogno di tutto e ho dovuto imparare a far da mangiare, a stirare, a pulire, a fare anche l’infermiere… ma finché ci sono io lei rimane con me!». Abbiamo pregato e ho dato la Benedizione con le lacrime agli occhi. Non tanto per quanto quell’uomo sta facendo, ma per la letizia con la quale mi raccontava la sua situazione e per la delicatezza con cui ha tracciato il segno della croce su sua moglie.
E poi Giovedì. Entro in un cortile e mi aspetta una signora che, prontamente, mi apre la porta di casa sua. Trovo lei, una bambina piccola e la suocera, anch’essa paralizzata, seduta con molti cuscini, con una simpatica coperta sulle gambe, apparentemente incosciente. Anche lei mi racconta, mi dice la fatica, la pazienza… iniziamo a pregare e al momento della Benedizione, mentre l’acqua santa bagnava la casa e le persone, mi colpiscono gli occhi, fino a quel momento assenti, di quella nonna immobile, perché mi guarda come a dirmi che c’è anche lei. Prima di andarmene la nuora mi dice: «sa, padre, la bambina quando vede che la nonna perde la saliva, prende subito un tovagliolo e va ad asciugargliela».
Bisognerebbe dirlo a quei signori della televisione che cosa vuol dire vivere. Forse per loro la vita è morte, forse in questo elogio dell’eutanasia c’è qualcosa d’altro, c’è l’opera del Nemico. Ma noi non possiamo tacere, non possiamo non dire che vogliamo vivere! E che la dignità del vivere non la decidono loro, con i nostri soldi! Bisognerebbe dire a quei telepredicatori, che trovano sempre un prete che ormai non comprende più la fede cattolica pronto a piegarsi al loro gioco, che anche loro, come noi, come tutti, siamo «bisognosi di tutto», anche se camminiamo, se facciamo il bagno da soli, se ci facciamo la barba da soli… perché il vero bisogno del cuore umano non è quello della salute, ma quello della salvezza, di Cristo!
Ecco perché attaccano la Chiesa, perché ricorda all’uomo che «vieni via con me» l’ha già detto un Altro, e che se solo imbrocchiamo un’altra strada, siamo perduti.

Don Simone Riva
(Coadiutore ad Arconate e Dairago)